OGBODO ENVY, lo spirito dell’elefante / the spirit of elephant

Maschera Ogbodo Envy, Cultura Igbo. legno policromo, cm 53 circa . ex collezione Zachary Feere , antica etichetta riconducibile alla collezione Merton Simpon

Nelle culture africane la maschera dà corpo ad un soggetto identitario trascendente, mediatore attivo tra il mondo visibile e quello invisibile. Appartiene al mondo reale, ma deve unire  forme diverse perchè diverse sono le funzioni che è chiamata ad evocare. Da qui nasce la formidabile libertà espressiva che unisce elementi antropomorfi e  zoomorfi con elementi fantastici, e che affascina sempre più il nostro mondo. Sono stati i grandi Maestri del Novecento i primi a capire  la potenza evocativa di quei linguaggi, e li hanno tradotti nelle loro opere. Senza le maschere, le sculture arrivate dall’Africa a Parigi agli inizi del XX secolo , probabilmente il Cubismo ( per fare l’esempio più eclatante) non sarebbe nato.

In questa ottica c’è sicuramente la  maschera Ogbodo Enyi , di cui vi parlo in questo testo.

Ogbodo Enyi è una delle poche maschere Igbo ( Nigeria)  del nord-est organizzate per fasce di età maschili,  che includono sia bambini che adulti. I riti connessi alle maschere nel nord-est affrontano  in genere questioni che riguardano il villaggio come comunità. La maggior parte, come Okperegede, sono considerate proprietà della comunità anche quando, come nel caso di Oyawa, sono governate da un culto esclusivo. Ma Ogbodo Enyi è vistosamente assente nei tradizionali appuntamenti rituali , che celebrano la costante riunione del villaggio della comunità vivente con i suoi antenati. Piuttosto, rappresenta le diverse specificità sociali all’interno di una comunità e celebra i contributi apportati da ciascuno all’insieme della comunità stessa  . Ogbodo Enyi appare durante  le sepolture dei membri della sua fascia di età, ma viene esposta principalmente durante i riti celebrati  nella stagione secca. Tra questi rientrano i rituali Obife e Aji Ereke, durante i quali il villaggio  viene purificato dagli anziani e dai sacerdoti e letteralmente ripulito da giovani adulti e bambini che lavorano in gruppi determinati in base all’età e al sesso.

Quindi l’organizzazione per età e la competizione sono al centro di Ogbodo Enyi. Ci sono approssimativamente quattro gradi: giovani non circoncisi, uomini circoncisi ma non sposati e uomini sposati divisi in gruppi più specifici, tra cui uno per gli anziani. Oggi, con i giovani che lasciano il villaggio per frequentare le scuole e trovare lavoro in città, i gradi sono diventati ancora meno rigidi. Tuttavia, i maschi continuano a pensare e parlare in termini di coetanei, e questa appartenenza  per  età è ancora considerata fondamentale; i ragazzi (dai nove ai quattordici anni) che non riescono a partecipare al rito connesso alla maschera Ogbodo Enyi  relativo al loro grado almeno una volta,  sono destinati ad essere  derisi e disonorati di fronte al villaggio.

Partecipare a Ogbodo Enyi è un impegno considerevole per questi ragazzi. Devono raccogliere i soldi per commissionare sia la maschera che il costume di rafia annodata (ogbodo eda), oltre a selezionare i loro rappresentanti  e scegliere un danzatore  tra i loro ranghi. L’evento  è una dimostrazione pubblica della capacità del gruppo  di lavorare efficacemente su  obiettivi condivisi  e produttivi a livello comunitario. Ciò viene enfatizzato durante la stagione secca, quando il danzatore  visita i santuari della comunità e guida cerimoniosamente i suoi coetanei nei compiti assegnati, come la pulizia dei sentieri, del mercato e del campo da ballo.

Un villaggio può  avere fino a cinque o sei Ogbodo Enyi “junior” controllati da gradi più giovani. Ma c’è solo una mascherata senior, alternativamente detta di proprietà degli anziani (un grado di età legittimo) o dell’intero villaggio. In entrambi i casi è controllata dagli anziani (sebbene indossata da un uomo più giovane) e rappresenta la comunità attraverso questo organo di governo, che include un membro di ogni lignaggio. Gli adulti dicono che i bambini “giocano solo a mascherarsi” sebbene approvino i loro sforzi per “essere come gli adulti“. Chiaramente mascherarsi è un aspetto elementare della socializzazione maschile. C’è ancora una netta distinzione tra le mascherate dei bambini e degli adulti. L’Ogbodo Enyi junior è considerato, nella migliore delle ipotesi, una debole manifestazione dello spirito adulto,  “caldo e violento”.

Ancora una volta è possibile notare come esista una dimensione “archetipale” della celebrazione dei riti considerato fondamentali in ogni comunità umana. Chi ha ancora dimestichezza con le nostre tradizioni potrà trovare sorprendenti sintonie tra  modalità rituali delle nostre Confraternite e le cosiddette Società Segrete che sono la struttura centrale delle tradizioni animiste; oltre al fatto che anche i nostri Confratelli nascondevano il volto con cappucci ( e in molti casi lo fanno ancora ), esistono anche da noi riti ed apparati rituali destinati ai ragazzi, chiamati a partecipare alla vita spirituale della Comunità; nelle processioni si vedono ancora bimbi che portano Croci più piccole di quelle esibite dagli adulti, ed indossano costumi rituali analoghi. In alcuni casi i ragazzi portano anche Casse Processionali più piccole ma esteticamente e concettualmente analoghe a quelle destinate agli adulti. Si può dire che cambia il volto del Divino, ma il senso del Sacro si testimonia in modo analogo.

Nonostante il nome, il maschile Ogbodo Enyi (“spirito elefante“) non è specificamente solo la raffigurazione del grande pachiderma. Piuttosto, l’elefante è un modello considerato adeguato alla funzione sociale rappresentata dalla maschera, perché il suo potere e la sua resistenza singolari ne caratterizzano e lo spirito. La maschera vera e propria è comunque un elefante per designazione e convenzione. La testa è orientata orizzontalmente, con due zanne, occhi conici, un naso umanoide sottile e allungato e una “proboscide”  che erompe dalla fronte.  Spesso sono presenti una o due teste umane scolpite con cura. Sebbene vi siano delle varianti, la maggior parte degli esempi sono estremamente stilizzati, resi in forme geometriche angolari. I tradizionali modelli di scarificazione, nga, possono essere riprodotti davanti alle orecchie in rilievo o pitturati. La proiezione, ilolo, che si estende sugli occhi, è identificata come proboscide e/o zanna; è anche un talismano con il potere di dare forza al danzatore  e proteggere l’ogbodo dai nemici. Ogbodo Enyi  rappresenta la leadership maschile e tutti gli uomini , ma  ne esiste una versione femminile praticamente indistinguibile dal suo prototipo maschile.

Anche la maschera femminile viene selezionata dall’ogbodo tramite divinazione, sogni o qualche altra manifestazione inconscia. Nel suo contesto femminile, lo spirito rappresenta una potente sintesi dello spirito-elefante con l’oracolo Uke. Qualsiasi donna può provare a portare la maschera, ma solo coloro che sono ispirate da un evento soprannaturale avranno la forza sufficiente per farlo. Infatti l’esibizione femminile non è meno impegnativa fisicamente di quella maschile ed è di pari durata. La maschera corre con le sue sostenitrici femminili per tutto il villaggio sollecitando doni e lodi. La corsa viene periodicamente interrotta quando si ferma per “molestare” giovani uomini e ragazzi o per ballare per gli ammiratori.

La maschera femminile, tuttavia, non interagisce  mai gli uomini anziani e, comprensibilmente, ha un’affinità con le donne e i bambini piccoli. Le donne si accalcano liberamente attorno allo spirito, persino prendendolo sottobraccio. La maschera tiene e trasporta i bambini, mentre le loro madri strappano la rafia dal suo costume per legarla ai loro polsi, invocando i doppi poteri dello spirito e dell’oracolo per proteggerli. Questi gesti sarebbero impensabili in presenza dell’Ogbodo Enyi maschio.

Sebbene l’iconografia, la performance e l’organizzazione siano molto simili alle versioni maschili, ci sono delle distinzioni critiche. La competizione, chiave del mascheramento maschile, è qui singolarmente assente. Non competono tra loro , non c’è rivalità a nessun livello con la mascherata maschile. Ie due maschere non compaiono mai nello stesso contesto. Quella femminile  esce quando si celebra Uke (di solito una o due volte all’anno) o in occasioni speciali come il funerale di una donna titolata. Gli studiosi che hanno approfondito la cultura Igbo rilevano che sia gli uomini che le donne erano riluttanti a confrontare le due tradizioni. Quando sollecitati a farlo, tutti concordavano che la versione maschile adulta era superiore, ma non erano disposti a denigrare l‘ogbodo femminile, che veniva descritto più volte come “qualcosa di completamente diverso”. E’ interessante notare come sia cambiato l’atteggiamento rispetto all’affermarsi di un rito Ogbodo Enyi femminile. Certamente la costante contaminazione con il mondo occidentale ha influito su questo fenomeno, ma approfondendo l’argomento ( si veda in particolare Igbo Arts, Community and Cosmo, 1984 ) sembra che esso dipenda  da una lenta ma costante affermazione del ruolo femminile, e dalla cresciuta riconoscenza verso l’importanza delle donne nella vita della Comunità. 

Ogbodo Envy, the spirit of the elephant.

In African cultures, the mask embodies a transcendent identity subject, an active mediator between the visible and invisible worlds. It belongs to the real world, but it must unite different forms because it is called to evoke different functions. From here comes the formidable expressive freedom that unites anthropomorphic and zoomorphic elements with fantastic elements, and which increasingly fascinates our world. The great Masters of the twentieth century were the first to understand the evocative power of those languages, and they translated them into their works. Without the masks, the sculptures that arrived from Africa to Paris at the beginning of the twentieth century, Cubism (to give the most striking example) would probably not have been born.

In this perspective, there is certainly the Ogbodo Enyi mask, which I will talk about in this text.

Ogbodo Enyi is one of the few Igbo (Nigeria) masks from the north-east organized by male age groups, which include both children and adults. Mask-related rituals in the northeast typically address issues of the village as a community. Most, like Okperegede, are considered community property even when, as in the case of Oyawa, they are governed by an exclusive cult. But Ogbodo Enyi is conspicuously absent from traditional ritual engagements, which celebrate the village’s constant reunion with its living community with its ancestors. Rather, she represents the diverse social specificities within a community and celebrates the contributions each makes to the community as a whole. Ogbodo Enyi appears at the burials of members of her age group, but is primarily displayed at dry-season rites. These include the Obife and Aji Ereke rituals, during which the village is purified by elders and priests and literally cleansed by young adults and children who work in age- and sex-specific groups.

Thus, ageism and competition are central to Ogbodo Enyi. There are roughly four grades: uncircumcised youths, circumcised but unmarried men, and married men who are divided into more specific groups, including one for the elders. Today, with young men leaving the village to attend school and find work in the city, the grades have become even more relaxed. However, males still think and speak in terms of peers, and this ageism is still considered essential; boys (nine to fourteen) who fail to participate in the Ogbodo Enyi mask-related ritual for their grade at least once are destined to be mocked and shamed in front of the village.

Participating in Ogbodo Enyi is a considerable commitment for these boys. They must raise money to commission both the mask and the knotted raffia costume (ogbodo eda), as well as select their representatives and choose a dancer from among their ranks. The event is a public demonstration of the group’s ability to work effectively on shared and productive community goals. This is emphasized during the dry season, when the dancer visits community shrines and ceremoniously leads his peers in assigned tasks, such as clearing the paths, market, and dance ground.

A village may have as many as five or six “junior” Ogbodo Enyi supervised by younger ranks. But there is only one senior masquerade, alternatively said to be owned by the elders (a legitimate age rank) or by the entire village. In either case it is supervised by the elders (though worn by a younger man) and represents the community through this governing body, which includes a member of each lineage. The adults say that the children “just play at masquerade” although they approve of their efforts to “be like adults.” Clearly masquerade is an elementary aspect of male socialization. There is still a clear distinction between children’s and adult masquerades. The Ogbodo Enyi junior is considered, at best, a weak manifestation of the adult spirit, “hot and violent”.

Once again it is possible to note how there is an “archetypal” dimension to the celebration of rites considered fundamental in every human community. Those who are still familiar with our traditions will be able to find surprising harmonies between the ritual methods of our Confraternities and the so-called Secret Societies that are the central structure of animist traditions; in addition to the fact that our Brothers also hid their faces with hoods (and in many cases still do), we also have rites and ritual apparatus intended for children, called to participate in the spiritual life of the Community; in processions you can still see children carrying smaller Crosses than those exhibited by adults, and wearing similar ritual costumes. In some cases the children also carry Processional Boxes that are smaller but aesthetically and conceptually similar to those intended for adults. It can be said that the face of the Divine changes, but the sense of the Sacred is witnessed in a similar way.

Despite its name, the male Ogbodo Enyi (“elephant spirit”) is not specifically just the representation of the great pachyderm. Rather, the elephant is a model considered appropriate for the social function represented by the mask, because its singular power and resistance characterize its spirit. The mask itself is however an elephant by designation and convention. The head is oriented horizontally, with two tusks, conical eyes, a thin and elongated humanoid nose and a “trunk” that emerges from the forehead. Often one or two carefully carved human heads are present. Although there are variations, most examples are highly stylized, rendered in angular geometric shapes. The traditional scarification patterns, nga, may be reproduced in front of the ears in relief or painted. The projection, ilolo, which extends over the eyes, is identified as a trunk and/or tusk; it is also a talisman with the power to give strength to the dancer and protect the ogbodo from enemies. Ogbodo Enyi represents male leadership and all men, but there is a female version that is virtually indistinguishable from her male prototype.

The female mask is also selected by the ogbodo through divination, dreams, or some other unconscious manifestation. In her feminine context, the spirit represents a powerful synthesis of the elephant spirit with the oracle Uke. Any woman may attempt to wear the mask, but only those inspired by a supernatural event will have sufficient strength to do so. In fact, the female performance is no less physically demanding than the male one and is of equal duration. The mask runs with her female supporters throughout the village soliciting gifts and praise. The race is periodically interrupted when she stops to “harass” young men and boys or to dance for admirers.

The female mask, however, never interacts with older men and, understandably, has an affinity for women and small children. Women freely crowd around the spirit, even taking her arm. The mask holds and carries the children, while their mothers tear the raffia from his costume to tie it to their wrists, invoking the dual powers of spirit and oracle to protect them. These gestures would be unthinkable in the presence of the male Ogbodo Enyi.

Although the iconography, performance and organization are very similar to the male versions, there are critical distinctions. Competition, a key to male masquerade, is strikingly absent here. They do not compete with each other, there is no rivalry on any level with the male masquerade. The two masks never appear in the same context. The female one comes out when Uke is celebrated (usually once or twice a year) or on special occasions such as the funeral of a titled woman. Scholars who have studied Igbo culture note that both men and women were reluctant to compare the two traditions. When pressed, they all agreed that the adult male version was superior, but were not willing to denigrate the female Ogbodo, which was repeatedly described as “something completely different”. It is interesting to note how attitudes have changed regarding the emergence of a female Ogbodo Enyi rite. Certainly the constant contamination with the Western world has influenced this phenomenon, but when looking into the subject in more detail (see in particular Igbo Arts, Community and Cosmo, 1984) it seems that it depends on a slow but constant affirmation of the female role, and on the growing recognition of the importance of women in the life of the Community.

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