I present to you a beautiful Punu...out of the ordinary!
Vi presento una bella Punu ...fuori dagli schemi!
Cultura Punu, Gabon. prima metà del XX secolo. prov. ex collezione privata Belga, ex Arte primitivo Barcelona . Esposizione Parigi, Parcours du Monde 2022, Barcelona.
Grazie al caro amico Fernando Pujol entra nella collezione permanente Tribale globale una bella e rara maschera Punu, databile non oltre il primo quarto del XX. Le maschere bianche Gabonesi sono una icona misteriosa dell’arte africana; Cohen, nel 2016 ebbe a scrivere ( https://www.metmuseum.org/art/collection/search/314285 ): “ Durante e prima di questo primo periodo coloniale, si dice che i Fang ed altri popoli equatoriali e dell’Africa centrale abbiano visto connessioni – o abbiamo addirittura confuso – tra occidentali ed esseri soprannaturali. L’aspetto fisico insolito, le nuove tecnologie e la presenza violentemente dirompente di europei e americani nella regione hanno senza dubbio contribuito a questa credenza, così come l’associazione tra i bianchi e l’acqua ( ad esempio dovuta dal fatto che essi arrivavano dall’altra parte dell’oceano, territorio ignoto alle popolazioni locali ) così come il colore bianco della pelle, colore associato nella tradizione locale con gli spiriti e la terra dei morti. I lineamenti delicati e le carnagioni chiare dei volti delle maschere ngontang suggeriscono quindi qualità sia femminili che ultraterrene.” E’ una teoriacheragionevolmente può valere – come nota lo stesso Cohen- anche per le maschere Punu. Questa in particolare ci obbliga a superare il recinto dello sguardo occidentale. L’ottima provenienza,- la Galleria Arte Primitivo di Barcellona- sopisce i dubbi degli ossessionati dal pedigree, vera “malattia senile del collezionismo” come ebbe a scrivere Pierre Amrouche ( 1) ; patina, stile e materiale sono ineccepibili ma, pur essendo note alcune maschere Gabonesi “ a visiera” ( 2 ) questa è anomala, essendo il casco evidentemente pronunciato. Oltre alla qualità, è proprio il suo essere anomala che ci ha interessato, quale testimonianza inequivocabile della libertà espressiva dell’arte africana, convinti come siamo del fatto che imbrigliare i linguaggi delle Arti Primarie nei nostri canoni sia immorale e fuorviante.
Immorale perché pretendere di ricondurre tutto ai nostri schemi è una manifestazione subdola di colonialismo.
Fuorviante perché è la motivazione profonda del fare arte ad essere radicalmente diversa; in occidente, quando va bene, l’arte è espressione istintiva, molto più spesso motivo di business; nelle culture extraeuropee che definiamo “primitive” è invece espressione di un sentimento religioso, indagine e manifestazione di stati di coscienza utili a governare il Mistero della vita. Forma, colore, segno, la stessa materia con cui è realizzato un oggetto deve parlare, consentire la narrazione di una storia, e quindi essere un elemento alfabetico “flessibile”, pronto ad essere plasmato in base alla necessità narrativa, pur rimanendo dentro canoni generali che consentono di identificare l’origine dell’alfabeto metaforico usato. La nostra Punu ragionevolmente venne creata perché in quel momento serviva evocare la presenza di esseri diversi dal contesto locale, che comunque interagivano con esso nella vita quotidiana e che quindi dovevano essere “trasferiti” nel mondo soprannaturale a cui tutto si riferisce, al fine di potere provare a governare gli effetti di quella presenza. Cosa meglio di un casco?
- Pierre Amrouche, Giuliano Arnaldi . Via Passare’. Milano 2007
- Perrois, Gabon..Galerie Leloup 1988 pag. 7 – Perrois , Grand-Dufay , Punu, 2008 pag. 63 fig. 42,
Thanks to my dear friend Fernando Pujol, a beautiful and rare Punu mask, dating no later than the first quarter of the 20th century, enters the permanent Tribaleglobale collection. Gabonese white masks are a mysterious icon of African art; Cohen, in 2016 wrote ( https://www.metmuseum.org/art/collection/search/314285 ): “ During and before this early colonial period, it is said that the Fang and other equatorial and African peoples central have seen connections – or we have even confused – between Westerners and supernatural beings. The unusual physical appearance, new technologies and the violently disruptive presence of Europeans and Americans in the region have undoubtedly contributed to this belief, as has the association between whites and water (e.g. due to the fact that they came from the other part of the ocean, a territory unknown to the local populations) as well as the white color of the skin, a color associated in local tradition with spirits and the land of the dead. The delicate features and pale complexions of the faces of the ngontang masks therefore suggest both feminine and otherworldly qualities.” It is a theory that can reasonably be valid – as Cohen himself notes – also for Punu masks. This in particular forces us to overcome the fence of the Western gaze. The excellent provenance – the Galleria Arte Primitivo in Barcelona – allays the doubts of those obsessed with pedigree, a true “senile disease of collecting” as Pierre Amrouche wrote ( 1); patina, style and material are impeccable but, although some Gabonese “visor” masks are known ( 2 ), this one is “anomalous”, as the helmet is evidently pronounced. In addition to its obvious quality, it is precisely its anomalous nature that interested us, as an unequivocal testimony to the expressive freedom of African art, convinced as we are of the fact that harnessing the languages of primary arts in our canons is immoral and misleading.
Immoral because trying to bring everything back to our vision is a subtle manifestation of colonialism.
Misleading because it is the profound motivation of making art that is radically different; in the West, when things go well, art is an instinctive expression, much more often a business motive; in non-European cultures that we define as “primitive” it is instead the expression of a religious feeling, investigation and manifestation of states of consciousness useful for governing the Mystery of life. Shape, color, sign, the same material with which an object is made must speak, allow the narration of a story, and therefore be a “flexible” alphabetical element, ready to be shaped according to narrative necessity while remaining within general canons that allow us to identify the origin of the metaphorical alphabet used. Our Punu was reasonably created because at that moment it was necessary to evoke the presence of persons different from the local context, who however interacted with it in daily life and who therefore had to be “transferred” into the supernatural world to which everything refers, in order to be able try to govern the effects of that presence. What’s better than a helmet?