LA QUADRATURA DEL CERCHIO
1) In sostanza, osservo. Presentando uno scudo Katu cercai di descrivere ciò che mi attira nelle opere d’arte, prevalentemente in quelle di popoli lontani. La reazione istintiva davanti al manifestarsi della bellezza in una forma sconosciuta è il primo passo, il secondo è – nei limiti del possibile – cercare di capirne l’origine e la funzione; il terzo passo è certamente cogliere l’evidenza archetipica di quella specifica opera, il suo messaggio nascosto, che può però parlare in ogni tempo e in ogni luogo, e quindi anche a me, qui e ora; conseguentemente scelgo di provare a condividerne il contenuto, sia mediante la semplice esposizione dell’opera in questione, sia usandola come elemento alfabetico di quell’alfabeto metaforico che caratterizza i linguaggi dell’arte. Mi sono reso conto che è una specie di denominatore comune che mi appartiene da sempre, potrei dire che è un modo di essere. In sostanza, osservo. E siccome letteralmente il verbo osservare deriva da latino ob ( avanti, attorno, sopra) e servare, cioè custodire, l’esigenza dell’azione è già dichiarata nell’uso del termine stesso. Non può esserci distacco, men che meno disincanto.
2) Il coinvolgimento personale. Non ho distacco, men che meno disincanto neanche verso le opere d’arte che ho la fortuna di incontrare. Mi coinvolgono direttamente. Le penso come “l’opera viva” ( 1 ) di una imbarcazione da usare nel mare tempestoso dell’esistenza, e conseguentemente le utilizzo come solido scafo. In realtà penso che ogni opera d’arte, in quanto destinata a comunicare, sia un insieme di elementi alfabetici di quell’universale alfabeto metaforico composto da immagini, che ci serve per parlare di ciò che siamo, per capirci e capire. Per questo le opere d’arte sono occasione per narrare storie nuove, connesse all’originale ma in grado di interagire con me e con il mio tempo, perché pregne di valore archetipale. Le mie storie sono #dialoghitribaliglobali , se preferite installazioni, come si dice oggi.
3) #dialoghitribaliglobali . Ho chiamato quest’opera “ La quadratura del cerchio” , anche per non prendermi troppo sul serio visto gli occhiali che porto da una vita. Sopratutto perché apparentemente quadrare il cerchio è impossibile quantomeno sul piano letterale; “Trovare una soluzione richiederebbe la costruzione del numero π. L’impossibilità di una tale costruzione, con le limitazioni imposte dall’uso esclusivo di riga e compasso, deriva dal fatto che π è un numero trascendente, ovvero non-algebrico, e quindi non-costruibile. La trascendenza di π fu dimostrata da Ferdinand von Lindemann nel 1882.” Già in questa definizione fornita da Wikipedia vedo una serie esponenziale di suggestioni: che esistano numeri definiti trascendenti pone la matematica nella sfera che più le appartiene, quella dell’immensità trascendente del pensiero e della sua bellezza. π rimanda direttamente alla sequenza di Fibonacci, e conseguentemente alla bellezza misteriosa della Natura e alla sorprendente potenzialità dell’intelletto umano. Incardina la storia dell’arte occidentale in quel disegno geniale di Leonardo – L’Uomo Vitruviano _ che ancora oggi sembra dirci “ Sono questo, agisco nei limiti dati da questo corpo, ma so di essere dentro un Mistero più grande a cui appartengo e che mi appartiene.”
4) Del cerchio si ragiona da sempre, e dovunque. Ensō (円相) simbolo sacro del Buddismo Zen, in giapponese significa letteralmente “cerchio”; simboleggia l’Illuminazione, la forza, l’Universo, il vuoto, e si potrebbe dire che è perfettamente imperfetta…è spesso usato dai maestri Zen come firma nelle loro opere e può essere disegnato aperto o chiuso; aperto, è imperfetto, ma allo stesso tempo include la perfezione di tutte le cose in quanto c’è spazio per il movimento, la crescita e lo sviluppo; chiuso, invece, rappresenta la perfezione, eppure la vernice mostra ancora le tracce del pennello, che stanno a indicare l’imperfezione che porta alla perfezione.
Per C.G.Jung rappresenta l’archetipo dell’individuazione psichica, ossia l’affermazione del proprio Sé.
Dante Alighieri lo evoca molte volte, in tutte le sue opere a cominciare dalla Divina Commedia ( 2) , perché è la forma che rappresenta la Trinità, vista come cerchi saldati e sovrapposti.
5) Praticamente tutte le Culture arcaiche evocano il cerchio quando hanno la necessità di dare corpo alla relazione con il mistero, dai Babilonesi ai Druidi, e ragionevolmente anche da prima, da quando l’essere umano ha iniziato a pensare e a pensarsi dentro in mondo. (3)
6) La ruota. Trovo inoltre suggestivo ed illuminante, convinto come sono del fatto che #pensiamoimmagini , che la prima traccia documentata del cerchio riguardi un oggetto, utile oltre che bello: la ruota. Difficile, se non impossibile, stabilire chi l’ha inventata, cambiando letteralmente la qualità della vita degli esseri umani. Sappiamo che furono i Cucuteni (4), abitanti prevalentemente in quella che oggi chiamiamo Romania, nel V millennio a.C., a fabbricare figure giocattolo come quella illustrata più sotto, con ruote che giravano attorno ad un asse; la suggestione è amplificata dal fatto che la prima applicazione pratica di una invenzione così geniale sia stato un giocattolo, ovvero un moltiplicatore di bellezza creativa destinato ai bambini…la sequenza vitale dell’umanità sembra essere istinto, creatività, utilità, permeata dal dono magico e misterioso della bellezza (3), ed è il gesto, da sempre, a farne memoria, anche nelle situazioni più banali: Pensate alla fortuna che ebbe la pubblicità di Banca Mediolanum..Il fondatore Ennio Doris che disegna un cerchio…
Per la mia installazione ho usato quindi opere molto diverse tra loro per il tempi ed i luoghi da cui provengono, che in comune hanno solo la forma circolare: Ogni opera vive di una eccellente vita propria, che ho cercato di documentare in schede adeguate. Ma spero che il loro insieme diventi un’altra storia, che mi piace narrare; grazie alla disponibilità dei proprietari dei singoli oggetti , questa installazione accoglie in modo permanente chi verrà a Onzo, nella Locanda Tribaleglobale .
Giuliano Arnaldi, Onzo 8 dicembre 2023 /25 gennaio 25
#pensiamoimmagini, 20 anni di tribaleglobale, l’insieme di eventi che ci ha accompagnato per tutto il 2024, partito da qui
Giuliano Arnaldi, Onzo 8 dicembre 2023
1) l’opera viva, o carena , è la parte immersa dello scafo , posta sotto la linea di galleggiamento, mentre l’opera morta è la parte che emerge.
2) https://accademiadellacrusca.it/Media?c=d73cef5b-01bf-49a0-b554-797f8bb4d845#:~:text=Il primo cerchio, il Figlio,’universo si “squaderna”.
£9 si veda ad esempio https://it.wikipedia.org/wiki/Cerchio_di_Goseck
4 ) https://romaniadacia.wordpress.com/2014/05/08/neolithic-wonders-cucuteni-hamangia-gumelnita/ , https://it.wikipedia.org/wiki/Ruota e https://www.storiadeuropa.com/invenzione-ruota-scoperta/
SQUARING THE CIRCLE
1) In essence, I observe. In presenting a Katu shield I tried to describe what attracts me in works of art, mainly those of distant peoples. The instinctive reaction to the manifestation of beauty in an unknown form is the first step, the second is – to the extent possible – trying to understand its origin and function; the third step is certainly grasping the archetypal evidence of
that specific work, its hidden message, which can however speak at any time and in any place, and therefore also to me, here and now; consequently I choose to try to share its content, both through the simple exhibition of the work in question, and by using it as an alphabetic element of that metaphorical alphabet that characterizes the languages of art. I realized that it is a kind of common denominator that has always belonged to me, I could say that it is a way of being. In essence, I observe. And since the verb to observe literally comes from the Latin ob (ahead, around, above) and servare, that is, to guard, the need for action is already declared in the use of the term itself. There can be no detachment, much less disenchantment.
2) Personal involvement. I have no detachment, much less disenchantment even towards the works of art that I am lucky enough to encounter. They involve me directly. I think of them as the “living work” ( 1 ) of a vessel to be used in the stormy sea of existence, and consequently I use them as a solid hull. In reality I think that every work of art, as it is intended to communicate, is a set of alphabetic elements of that universal metaphorical alphabet composed of images, which we need to talk about what we are, to understand ourselves and to understand. For this reason, works of art are an opportunity to tell new stories, connected to the original but able to interact with me and my time because they are full of archetypal value. My stories are #dialoghitribaliglobali , or installations if you prefer, as they say today.
3) #dialoghitribaliglobali I called this work “The squaring of the circle”, also to avoid taking myself too seriously given the glasses I have been wearing all my life. Above all because apparently squaring the circle is impossible at least on a literal level; “Finding a solution would require the construction of the number π. The impossibility of such a construction, with the limitations imposed by the exclusive use of ruler and compass, derives from the fact that π is a transcendental number, i.e. non-algebraic, and therefore non-constructible. The transcendence of π was demonstrated by Ferdinand von Lindemann in 1882.” Already in this definition provided by Wikipedia I see an exponential series of suggestions: that there are numbers defined as transcendent places mathematics in the sphere that most belongs to it, that of the transcendent immensity of thought and its beauty. π refers directly to the Fibonacci sequence, and consequently to the mysterious beauty of Nature and the surprising potential of the human intellect. It hinges the history of Western art on that brilliant drawing by Leonardo – The Vitruvian Man _ which still today seems to tell us “I am this, I act within the limits given by this body, but I know I am inside a greater Mystery to which I belong and which belongs to me.”
4) The circle has always been discussed, and everywhere.
Ensō (円相) sacred symbol of Zen Buddhism, in Japanese literally means “circle”; it symbolizes Enlightenment, strength, the Universe, emptiness and one could say that it is perfectly imperfect… it is often used by Zen masters as a signature in their works and can be drawn open or closed; open, it is imperfect, but at the same time it includes the perfection of all things as there is space for movement, growth and development; closed, on the other hand, it represents perfection, yet the paint still shows traces of the brush, which indicate the imperfection that leads to perfection.
For C.G.Jung it represents the archetype of psychic individuation (i.e. the affirmation of one’s Self.
Dante Alighieri evokes it many times, in all his works starting from the Divine Comedy ( 2) , because it is the shape that represents the Trinity, seen as welded circles and overlapping.
5) Practically all archaic cultures evoke the circle when they need to give substance to the relationship with the mystery, from the Babylonians to the Druids, and reasonably even before, since the human being began to think and think of himself inside the world. (3)
6) The wheel. I also find it suggestive and enlightening, convinced as I am of the fact that #thinkimages , that the first documented trace of the circle concerns an object, useful as well as beautiful: the wheel. It is difficult, if not impossible, to establish who invented it, literally changing the quality of life of human beings. We know that it was the Cucuteni (4), inhabitants mainly in what we now call Romania,