“Il paradiso è là, dietro quella porta, ma ho perso la chiave. Forse ho solo dimenticato dove l’ho messa”
Kahlil Gibran, Sabbia e spuma, 1926
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Serrature africane: Dogon e Bamana del Mali
Le serrature sono tra gli esempi più significativi della visione del mondo e della funzione comunicativa dell’arte presso i popoli africani. Esse sono composte di due parti lignee incrociate, tipologia remota che risale ai Sumeri ( una chiave Sumera è esposta al Louvre) ed è certamente rappresentata sui bassorilievi nel Tempio di Luxor) . Attraverso il Nord Africa, dove questo manufatto è rappresentato privo di segni secondo la tradizione islamica, si diffonderà in tutta l’Africa. Nel caso delle culture qui interessate (Dogon e Bamana) la realizzazione di questi oggetti d’uso risponde a diversi criteri in parte ben noti, come l’idea che la bellezza per lo scultore africano sia ” l’adeguamento dell’oggetto a rappresentare il perchè è stato creato” ( Griaule). ‘ E’ già interessante e innovativo pensare all’arte come all’ambito in cui si costruiscono risposte alla domanda sul “perchè” dei fenomeni e non sul “come” essi si manifestano -ponendosi quindi in una prospettiva ontologica e non gnoseologica- ma la struttura stessa di questi oggetti e i segni incisi su di essi dicono molto di più.
Le misure delle serrature sono spesso sovradimensionate rispetto alla necessità contingente. L’obiettivo è evocare un corpo ( di essere umano o di animale) affinchè l’energia del soggetto mitico evocato si insedi nell’oggetto e vi trasferisca energia positiva. I Dogon ad esempio definiscono letteralmente le parti delle serrature chiamando “testa” la parte alta, “corpo” quella centrale e “gambe” la parte terminale. Due gli aspetti plastici fondamentali, diversi ma complementari: il realismo della testa – spesso rappresentata in modo più figurativo con rappresentazioni antropomorfe, zoomorfe o riferite a specifici oggetti- e l’astrazione geometrica del segno che è in stretta relazione simbolica e funzionale con il primo. La forma dell’elemento centrale centrale rappresenta l’arca con la quale il Nommo discese sulla terra , la barra traversale l’opera di Amma che crea le quattro porte del cielo per consentire all’arca di passare con il proprio carico di doni ( evidente il riferimento ai quattro punti cardinali est- ovest-nord sud).
La contiguità tra le culture Dogon e Bambara rende simili ma non identiche le serrature. Entrambe si riferiscono a cosmologie che pensano il mondo come creato da un’entità suprema ( Amma per i Dogon, Faro per i Bambara ) che ha generato coppie di gemelli ( i Nommo dei Dogon) all’origine della razza umana. L’interazione con figure mitiche animali , ognuna portatrice di uno specifico valore, si raffigura nella serratura, così come gli elementi naturali descritti con il segno: l’acqua rappresentata dal motivo a zig zag, la croce di Sant’Andrea – dove l’incrocio delle due linee divide un quadrante in quattro parti così leggibili: a destra in alto il cielo, in basso la terra; a sinistra in alto la pioggia, in basso la terra che la assorbe-. , il segno a V ( detto la clavicola di Amma) evoca l’apertura delle porte del cielo. Nel caso dei Dogon spesso sono i Nommo a dare forza e valore simbolico all’oggetto, presso i Bamana ( o Bambara – infedeli- come li chiamano i vicini musulmani) sono le figure femminili o il copricapo della importante società Komo. in entrambi i casi la raffigurazione del coccodrillo , che per i Bamana rappresenta il fiume e quindi la fertilità e la forza mentre per i Dogon è l’antenato più vecchio e conosciuto della famiglia. Tecnicamente simili, le serrature Dogon ( ta koguru, parola composta da porta e chiudere) e Bamana ( kon barabar) si differenziano nell’aspetto: le prime prive di patina , le seconde spesso protette da una patina realizzata probabilmente con polvere di carbone mescolata con olio ricavato dai semi di “lannea acida”. Si tratta di un olio che riveste grande importanza rituale essendo usato anche per spalmare il corpo dei giovani adolescenti durante i riti di iniziazione. Nella cultura Bamana la serratura evoca la relazione tra femminilità e mascolinità attraverso la disposizione a croce delle sue parti lignee. Attribuite prevalentemente alle donne, che spesso le donano al compagno in segno di affetto e stima, sono impegnate nell’ambito civile nelle “lu” grandi case comuni che ospitano più relazioni affettive: chiudono sia le porte dei granai, sia i vani abitativi. In ambito religioso invece servono nei “santuari delle cose astratte ( ko so – conservare gli oggetti sacri “.
Una simile complessità non testimonia solo la ricchezza e la profondità di culture spesso definite primitive, ma la relazione tra le superfici materiche ( in questo caso il legno) e il bisogno di comunicare, di lasciare una traccia. Il linguaggio usato è frutto di un sapiente equilibrio tra la plasticità delle forme e l’evocativa efficacia del segno. Ne risulta a nostro avviso un’evidenza archetipica di sorprendente attualità.
Giuliano Arnaldi, Scritto in occasione della mostra organizzata al MAP, Presidio di Albisola Superiore, Terre d’Asilo nell’agosto 2010 e pubblicato su
http://cedocsv.blogspot.com/2010/08/serrature-africane-dogon-e-bamana-del.html
Referenze
“Porte e serrature dogon e bambara- galleria del vicolo quartirolo” 1980 testi di Beppe Bargna
Serrature in legno Dogon e Bambara: cosmologia, arte e tecnica . Curatore Adalberto Biasotti Modena 1995
Immagini dell’invisibile, Leonardo Vigorelli Bergamo 1991
Bamana, un art et un savoir-vivre au Mali, Museum Rietberg Zurigo 2003
“Heaven is there, behind that door, but I lost the key. Maybe I just forgot where I put it.”
Kahlil Gibran, Sand and Foam, 1926
African locks: Dogon and Bamana of Mali
The locks are among the most significant examples of the worldview and communicative function of art among African peoples. They are composed of two crossed wooden parts, a remote typology that dates back to the Sumerians (a Sumerian key is exhibited in the Louvre) and is certainly represented on the bas-reliefs in the Luxor Temple). Through North Africa, where this artifact is represented without signs according to Islamic tradition, it will spread throughout Africa. In the case of the cultures involved here (Dogon and Bamana) the creation of these everyday objects responds to various partly well-known criteria, such as the idea that beauty for the African sculptor is “the adaptation of the object to represent the because it was created” (Griaule). It is already interesting and innovative to think of art as the context in which answers are constructed to the question of the “why” of phenomena and not the “how” they manifest themselves – therefore placing themselves in an ontological and not epistemological perspective – but the structure itself of these objects and the signs engraved on them say much more.
The dimensions of the locks are often oversized compared to the contingent need. The objective is to evoke a body (of a human being or an animal) so that the energy of the evoked mythical subject settles into the object and transfers positive energy to it. For example, the Dogon literally define the parts of the locks by calling the upper part “head”, the central part “body” and the terminal part “legs”. There are two fundamental plastic aspects, different but complementary: the realism of the head – often represented in a more figurative way with anthropomorphic, zoomorphic representations or referring to specific objects – and the geometric abstraction of the sign which is in close symbolic and functional relationship with the first . The shape of the central central element represents the ark with which the Nommo descended to earth, the transverse bar is the work of Amma who creates the four doors of heaven to allow the ark to pass with its load of gifts (evident the reference to the four cardinal points east-west-north south
The contiguity between the Dogon and Bambara cultures makes the locks similar but not identical. Both refer to cosmologies that think of the world as created by a supreme entity (Amma for the Dogon, Faro for the Bambara) who generated pairs of twins (the Nommo of the Dogon) at the origin of the human race. The interaction with mythical animal figures, each bearer of a specific value, is depicted in the lock, as are the natural elements described with the sign: water represented by the zigzag motif, the cross of St. Andrew – where the the crossing of the two lines divides a quadrant into four legible parts: on the top right the sky, below the earth; on the left at the top the rain, at the bottom the earth that absorbs it. , the V sign (called Amma’s collarbone) evokes the opening of the doors of heaven. In the case of the Dogon it is often the Nommo who give strength and symbolic value to the object, among the Bamana (or Bambara – infidels – as their Muslim neighbors call them) it is the female figures or the headdress of the important Komo society. in both cases the depiction of the crocodile, which for the Bamana represents the river and therefore fertility and strength while for the Dogon it is the oldest and most well-known ancestor of the family. Technically similar, the Dogon locks (ta koguru, a word composed of door and close) and Bamana locks (kon barabar) differ in appearance: the former have no patina, the latter are often protected by a patina probably made with coal dust mixed with oil obtained from the seeds of “lannea acida”. It is an oil that has great ritual importance as it is also used to spread the body of young adolescents during initiation rites. In the Bamana culture the lock evokes the relationship between femininity and masculinity through the cross arrangement of its wooden parts. Mainly attributed to women, who often give them to their partners as a sign of affection and esteem, they are involved in the civil sphere in the “lu” large communal houses that host more emotional relationships: they close both the doors of the barns and the living spaces. In the religious context, however, they serve to conserve sacred objects in “sanctuaries of abstract things (ko so)”.
Such complexity does not only demonstrate the richness and depth of cultures often defined as primitive, but the relationship between material surfaces (in this case wood) and the need to communicate, to leave a trace. The language used is the result of a skilful balance between the plasticity of the forms and the evocative effectiveness of the sign. In our opinion, the result is archetypal evidence of surprising relevance.