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TRIBALEGLOBALE celebra nel 2024 il suo ventesimo anno di vita. Il tema scelto per gli eventi che proporremo riassume il passato e guarda al futuro; #pensiamoimmagini è infatti il concetto che ispira da sempre il nostro sguardo sull’arte. Continuiamo a proporre quindi opere intese come elementi alfabetici di un alfabeto metaforico destinato a narrare storie ed evocare emozioni e sentimenti.
FURORE! è il titolo scelto per presentare una importante collezione di placche in bronzo Hindu databili tra il XVII E IL XIX secolo raffiguranti il mito di Virabhadra, e provenienti dalla Collezione di Paola e Giuseppe Berger. Nell’imponente Pantheon induista la figura di VIrabhadra giganteggia; egli distrugge, perché “la pazienza, troppo spesso messa alla prova, diventa furore. (Publilio Siro)”, perché ad un certo punto il nuovo ed il giusto si fanno strada solo sovvertendo, demolendo, senza alcuna remora e senza alcuna pietà. E’ il furore per eccellenza, quello di Virabhadra, ovvero la reincarnazione guerriera di Shiva. Presentato in anteprima a Onzo, presso la Casa degli Artisti, sarà uno degli eventi destinato a girare l’Europa in occasione di TRIBALEGLOBALE 24, Pensiamo Immagini, l’insieme di manifestazioni organizzate dalla Associazione SituAzioni Tribaliglobali per celebrare i vent’anni di Tribaleglobale.
In esposizione cento sessanta tre placche in metalli diversi – rame, ottone, bronzo – provenienti dalla Collezione dei milanesi Giuseppe e Paola Berger.
Abbiamo da tempo il privilegio di esporre oggetti provenienti da questa importante collezione, prevalentemente riguardante le culture Indiane; nota per la qualità delle opere, la collezione è presente in importati spazi museali pubblici come il Museo Pigorini di Roma ( a cui la Famiglia Berger ha donato oltre mille oggetti “BETEL” ) e la Biblioteca Ambrosiana di Milano, a cui Paola e Giuseppe Berger donarono parte della collezione di placche VIRABHADRA . Grazie alla disponibilità degli eredi di Giuseppe Berger, possiamo oggi esporne la restante parte, quella più più intima e privata.
ICONOGRAFIA
Le placche, databili tra il XVII E IL XIX secolo, sono realizzate in metalli diversi, mediante fusione a cera persa o a sbalzo. Ganci ed anelli indicano l’uso di appenderle nei tempietti di famiglia, la presenza di un manico sul retro che ne consente l’impugnatura rimanda invece ad un uso cerimoniale. Sostanzialmente si conoscono due stili: uno più accurato nel dettaglio, definito aulico, l’altro più essenziale, conosciuto come tribale. La struttura ad arco evoca l’alone di luce che accompagna l’apparizione di un essere divino; dall’alto verso il basso possiamo trovare al centro un mascherone che rimanda a Kirtimukha – il Volto della Gloria – e/o il serpente Naga (1) , ai lati il sole e la luna, il linga yoni, che simboleggia l’unione tra il dio e la dea, e il toro Nandi, simbolo della cavalcatura di Shiva oppure Il cobra , singolo o policefalo ma sempre in numero dispari; il volto di Virabhadra è sempre rappresentato come irato e feroce, il terzo occhio e/o i tre segni sulla fronte indicano la devozione a Shiva. Le braccia possono essere fino a dieci, ed impugnano armi e simboli diversi. In basso, ai lati, si trovano abitualmente Daksa, rappresentato con la testa del montone, e Sati, manifestazione serena della moglie di Shiva, o Kali , la sua declinazione terrifica. Il fatto che in molte placche siano assenti i tratti del viso dipende dalla continua manipolazione rituale degli oggetti. Oltre a indicarne l’epoca, questo gesto crea una suggestione contemporanea, come se l’azione del tempo conferisse all’opera un valore aggiunto di grande attualità.
- Naga, (sanscrito: “serpente”) nell’Induismo, nel Buddismo e nel Giainismo, un membro di una classe di mitici esseri semidivini, metà umani e metà cobra. Sono una specie forte e bella che può assumere la forma del tutto umana o del tutto serpentina e sono potenzialmente pericolosi ma spesso benefici per gli esseri umani. fonte https://www.britannica.com/topic/naga-Hindu-mythology
IL MITO DI VIRABHADRA
La storia e’ vecchia come il mondo, e si narra, con piccole modifiche, in ogni angolo della terra.I protagonisti sono un padre potente, arrogante e insensibile e una coppia di innamorati che non riescono a coronare il loro sogno, destinato a finire in tragedia.La versione Hindu e’ pero’ fantasmagoria e stupefacente nella sua narrazione. Il padre potente, arrogante e insensibile e’ Dakṣa, bramino e sommo sacerdote degli dei. Insomma, il potente di turno… La figlia- più esibita che amata…- è Safi, ed ama perdutamente Śiva, che è disprezzato da Daska per la sua congenita insofferenza alle regole dettate dai brāhmaṇa, la prima casta depositaria della scienza sacra di cui il padre di Sati è sommo custode.
Daska bandisce un torneo, per trovare un marito adeguato per la figlia, invitandola a scegliere il migliore tra i pretendenti inghirlandandolo; ma convoca tutti i notabili, tranne Śiva. Satī, innamorata di Śiva, lancia la ghirlanda in aria rivolgendogli un pensiero ardente e il suo amato appare, con il segno del prescelto al collo: Dakṣa a quel punto deve suo malgrado acconsentire al matrimonio, ma il rancore non si placa e quando indice una una grande cerimonia rituale invita nuovamente tutti, a eccezione di Śiva. Satī si presenta da sola alla celebrazione, ma il padre l’accoglie malamente, insultandone lo sposo; la dea, non potendo rivolgere la propria collera contro il padre, lascia che questa la consumi fino a bruciarla. Percepita la morte di Satī, Śiva, in preda ad un’ira incontenibile , si strappa una ciocca di capelli e la getta a terra ; da essa scaturisce Vīrabhadra, un essere terribile che arriva a toccare il cielo, nero come le nubi monsoniche, con tre occhi fiammeggianti, la chioma che guizza selvaggia e una ghirlanda di teschi. Śiva gli ordina di distruggere tutto e Vīrabhadra esegue l’ordine con estrema ferocia, decapitando Dakṣa, fracassando gli oggetti sacrificali, contaminando le offerte, insultando i sacerdoti e terrorizzando gli astanti . Gli dei atterriti invocano l’aiuto di Brahmā: il sommo consiglio e’ di cercare di placare Śiva invitandolo alla cerimonia, implorandolo di perdonare Dakṣa e di ripristinargli la testa, cosa che Śiva fa, ponendo sul collo del suocero quella del capro sacrificale… Come sempre la narrazione è metaforica, e rimanda a questioni ben più concrete. Oltre all’idea che si debba provare a risolvere i conflitti tra diverse interpretazioni del medesimo credo religioso con la “cooptazione” del ribelle, pena maggiori guai per tutti, ed al rafforzamento del ruolo di Śiva come dell’incarnazione della distruzione inevitabile e necessaria ad un cambiamento radicale, la figura di Virabhadra vive di luce propria: “ Vīrabhadra rappresenta il potere di discriminazione che tronca l’attaccamento a convenzioni supine e si oppone al dogmatismo e al cieco ritualismo. Fiammeggiante e luminoso come la conoscenza che dissipa l’illusione e la falsità, il divino guerriero invincibile e selvaggio simboleggia l’azione forte che distrugge per trasformare”. ( Marilia Albanese per Pinacoteca Ambrosiana, marzo 2018 ).