con un contributo di Sibilla Pinocchio
COCHLEARIBUS. A proposito del cucchiaio
Che sia una forma parlante è fuori discussione. L’uso e la forma rimandano alla funzione, quella di raccogliere liquidi o semi liquidi. Che sia nato dalla conchiglia è altrettanto acclarato, sia per la forma che per l’uso. Ne consegue un carico evocativo di tutto rispetto. La conchiglia, infatti, occupa un posto d’onore nel Pantheon degli oggetti simbolici. Gli antichi Greci pensavano che Venere fosse nata da una conchiglia, Pecten, in latino, identifica sia la sporgenza ossea che costituisce la parte superiore del pube che un particolare tipo di mollusco. Si veda a questo proposito il testo che segue, “ L’ECO DELL’OSTRAKON “ di Sibilla Pinocchio. Nella tradizione Cristiana la forma della conchiglia è iconograficamente molto significativa. Le Fonti Battesimali, le acquasantiere e molti oggetti legati a riti di purificazione hanno spesso forma di conchiglia, la conchiglia stessa è raccolta ed usata dai pellegrini come piatto e come ciotola per bere, semplice ed essenziale. Botticelli, Piero della Francesca, Caravaggio e molti altri grandi Maestri dell’arte occidentale hanno posto la sua forma evocativa al centro delle loro narrazioni pittoriche. Anche le culture extraeuropee riconoscono un importante valore simbolico alla conchiglia. Considerata un buon auspicio per un viaggio felice, è uno degli otto simboli di fortuna per i Buddisti; la Divinità Azteca della Luna, Signora delle acque e Archetipo femminile che presiede ogni forma di fecondità si chiama “ Quella della Conchiglia”, e nei continenti Africano e Oceanico è insieme moneta di scambio, simbolo di benessere e fecondità e potenziatore del valore rituale di oggetti, maschere e sculture. Si coglie in modo significato la valenza “alfabetica” della conchiglia proprio osservando le opere d’arte che provengono da quei paese lontani. L’essenzialità formale dei loro linguaggi dell’arte, concentrati sull’obiettivo di evocare stati di coscienza e concetti culturali per il tramite di un linguaggio essenzialmente metaforico, ben testimonia il valore simbolico della conchiglia, presente nel tipo Cypraeidae. In tempi più vicini a noi, penso che solo Lucio Fontana, con i suoi tagli e le sue “Nature” sia riuscito rinnovare il potere evocativo di ciò che la forma conchiglia evoca d’istinto.
Tornando al cucchiaio, non sono lontani i tempi in cui anche noi ne valorizzavamo il valore simbolico. I Padrini donavano un cucchiaio ai loro Figliocci nell’età dello svezzamento; i più abbienti lo sceglievano in argento o in osso, materiali altamente simbolici. Nel tardo Medioevo porre un cucchiaio di legno sul cappello significava cercare un nuovo padrone; compivano lo stesso gesto gli Ufficiali Giannizzeri nei territori dell’Impero Turco-Ottomano, ad indicare che era il Sultano in persona a provvedere al proprio nutrimento. Ma come sempre sono le culture extraeuropee a parlare nel modo più suggestivo ed elegante, anche se la forma è strettamente connessa all’uso. Nel continente Africano, dove vige l’uso di portare il cibo alla bocca con la mano destra, i cucchiai sono usati in circostanze speciali; si onora la presenza di un ospite di riguardo riservandogli il primo boccone offerto con un particolare rituale, presso gli Zulu ancora oggi si “ dà in pasto” agli Antenati un poco di cibo o bevanda, ed ovviamente la forma dell’oggetto non può essere casuale. Prevale l’evocazione del corpo femminile, nel caso dei cucchiai Kulango esso viene declinata nella forma a zig zag, altro elemento metaforico archetipale che indica l’alternanza di vita e morte, l’acqua, lo scorrere del tempo. I cucchiai Somali presenti nella Collezione Permanente tribaleglobale sono “scritti” con il nodo di Salomone. E’ un simbolo che appare anche su molti oggetti provenienti dal nord Europa ed è frequente nell’arte paleocristiana (per esempio sui mosaici delle chiese) come simbolo di unione fra l’Uomo e la dimensione del divino. Evoca il labirinto, la convergenza verso un centro ideale.
Che il nodo di Salomone sia rappresentato su un sempre utensile in legno, destinato ad un uso altrettanto semplice ma indispensabile, rende bene l’idea di come culture lontane siano essenziali ma non inferiori, sempre connesse ad un Mistero più grande, sempre capaci di evocarlo e comunicarlo attraverso il più autentico alfabeto umano, quello delle immagini. Il fatto che ogni cultura extraeuropea caratterizzi la forma di un oggetto per noi così usuale ed “asettico” come il cucchiaio caricandolo di contenuti evocativi ( già nella forma o rappresentando su di esso figure antropomorfe o zoomorfe bene auguranti ) fa riflettere. Ci sono luoghi nel mondo dove nutrirsi , purtroppo, non è una abitudine scontata.
COCHLEARIBUS. About Spoon
That it is a speaking form is beyond question. The use and form refer to the function, that of collecting liquids or semi-liquids. That it was born from the shell is equally clear, both for its shape and for its use. The result is an evocative charge of all respect. The shell, in fact, occupies a place of honor in the Pantheon of symbolic objects. The ancient Greeks thought that Venus was born from a shell, Pecten, in Latin, identifies both the bony protrusion that forms the upper part of the pubis and a particular type of mollusk. In this regard, see the following text, “L’ECO DELL’OSTRAKON” by Sibilla Pinocchio. In the Christian tradition the shape of the shell is iconographically very significant. Baptismal fonts, stoups and many objects linked to purification rites often have the shape of a shell, the shell itself is collected and used by pilgrims as a plate and as a drinking bowl, simple and essential. Botticelli, Piero della Francesca, Caravaggio and many other great masters of Western art have placed its evocative form at the center of their pictorial narratives. Even non-European cultures recognize an important symbolic value to the shell. Considered a good omen for a happy journey, it is one of the eight symbols of luck for Buddhists; the Aztec Divinity of the Moon, Lady of the waters and female Archetype who presides over all forms of fertility is called “That of the Shell”, and in the African and Oceanic continents she is both a currency of exchange, a symbol of well-being and fertility and enhancer of the ritual value of objects , masks and sculptures. The “alphabetic” value of the shell is meaningfully grasped by observing the works of art that come from those distant countries. The formal essentiality of their artistic languages, concentrated on the objective of evoking states of consciousness and cultural concepts through an essentially metaphorical language, testifies well to the symbolic value of the shell, present in the Cypraeidae type. In times closer to us, I think that only Lucio Fontana, with his “Tagli” and his “Nature” managed to renew the evocative power of what the shell shape instinctively evokes.
Going back to the spoon, the times when we too valued its symbolic value are not far off. The Godparents gave a spoon to their Godchildren when they were weaning; the wealthier chose it in silver or bone, highly symbolic materials. In the late Middle Ages placing a wooden spoon on the hat meant looking for a new master; the Janissary officers performed the same gesture in the territories of the Turkish-Ottoman Empire, indicating that it was the Sultan himself who provided for his own nourishment. But as always, it is the non-European cultures that speak in the most suggestive and elegant way, even if form is closely connected to use. In the African continent, where it is customary to bring food to the mouth with the right hand, spoons are used in special circumstances; the presence of a distinguished guest is honored by reserving for him the first bite offered with a particular ritual, among the Zulus still today a little food or drink is “fed” to the Ancestors, and obviously the shape of the object cannot be accidental . The evocation of the female body prevails, in the case of the Kulango spoons it is declined in the zigzag shape, another archetypal metaphorical element that indicates the alternation of life and death, water, the passage of time. The Somali spoons in the Global Tribal Permanent Collection are “written” with Solomon’s knot. It is a symbol that also appears on many objects from northern Europe and is frequent in early Christian art (for example on church mosaics) as a symbol of union between Man and the dimension of the divine. It evokes the labyrinth, the convergence towards an ideal centre.
That Solomon’s knot is always represented on a wooden utensil, intended for an equally simple but indispensable use, gives a good idea of how distant cultures are essential but not inferior, always connected to a greater Mystery, always capable of evoking it and communicate it through the most authentic human alphabet, that of images. The fact that every non-European culture characterizes the shape of an object as usual and “aseptic” to us as the spoon, loading it with evocative contents (already in the shape or by representing anthropomorphic or zoomorphic figures on it as well wishes) makes us think. There are places in the world where eating, unfortunately, is not an obvious habit.
Giuliano Arnaldi, Onzo 22 marzo 2023
Con queste note Sibilla Pinocchio, cantastorie e profonda conoscitrice di culti e storie popolari, inizia la sua collaborazione con TRIBALEGLOBALE. Ringraziandola per la disponibilità, siamo certi che il suo punto di vista via un notevole valore aggiunto alle nostre riflessioni.
L’ECO DELL’OSTRAKON , di Sibilla Pinocchio
L’ostrakon era un pezzo di ceramica o pietra rotta, la parola deriva dal greco e vuol dire conchiglia. Recuperiamo i frammenti che nell’antica Grecia servivano a stipulare un patto e da cui deriva la parola simbolo (mettere insieme). Due persone rompevano una tessera di riconoscimento, spesso di ceramica, per poi conservare il proprio pezzo. Unendo le parti era possibile dimostrare che c’era una promessa da rispettare. Dal passato emergono prove parziali e per cogliere il loro messaggio è necessario fare delle ipotesi. Grazie all’archeomitologia concepita da Marija Gimbutas, lo studio dell’archeologia si avvale della mitologia, del folklore, dei simboli e della religione.
L’atto infantile di portare la conchiglia all’orecchio, per sentire meglio il mare, è un gesto che ci aiuta a sperimentare la relazione dell’uomo primitivo con la natura. L’uso delle conchiglie si perde nella notte dei tempi ed è elemento tramandato nelle leggende e nei riti liguri legati alla fertilità. Se una coppia aveva difficoltà a procreare, il sangue mestruale veniva raccolto in una conchiglia e portato fino alla fonte nel bosco. Dalla stessa sorgente, dopo la gestazione, la fata avrebbe pescato il neonato. I bambini non erano consegnati dalla cicogna, ma portati dalla fata (antico nome dialettale attribuito alle levatrici) che li presentava agli altri figli.
Alcuni tratti degli ancestrali sentieri della fertilità coincidono con il Cammino di Santiago di Compostela, indicato da una valva della capasanta che in spagnolo si dice “concha” (tradotto vuol dire sia conchiglia che vulva).
Il percorso per raggiungere la Galizia serviva ad espiare i peccati o per adempiere ad un voto. È un pellegrinaggio di fede, proprio come la richiesta di una coppia sterile che mirava a purificarsi e a propiziare la gestazione.
Una leggenda narra che il sarcofago di San Giacomo fu trovato coperto dalle conchiglie. La tradizione giacobina prevedeva che la capasanta fosse usata come contenitore per bere da fontane, fiumi e torrenti. Una coppa marina naturale di cui San Giovanni si avvaleva per battezzare, le stesse acquasantiere hanno spesso la forma della conchiglia. Prima dell’acqua benedetta, le conchiglie erano la coppa per l’acqua mercuriale dai poteri lustrali.
L’arte, i miti greci e romani associavano la conchiglia agli organi genitali femminili e alla nascita di Venere. Collegata alla procreazione, la conchiglia ha connessioni con l’acqua e la vita, basta pensare alla rottura delle acque durante il parto. Ma la parola “parto” ha un doppio significato: indica anche l’inizio di un viaggio e, a Roma, Venere divenne la protettrice dei viaggiatori che navigavano. Per questo, fu associata all’ultima destinazione verso l’oltretomba. La conchiglia divenne un emblema funerario, mantenendo una simbologia preistorica che all’epoca era sconosciuta. Come sosteneva Carl Gustav Jung, l’inconscio collettivo è un ponte per le conoscenze transgenerazionali, grazie agli archetipi trasmessi nel DNA. Per Platone, le conchiglie erano “il legame cosmico più profondo” e “l’unica risonanza su cui si fonda il mondo”. La proporzione divina, o Sezione Aurea, venne codificata nella Successione di Fibonacci ed è visibile anche nella sezione delle conchiglie spiraliformi.
In una visione olistica di magia simpatica, le conchiglie dei molluschi che regolavano i cicli produttivi con il plenilunio, potevano diventare amuleti propiziatori della fecondità. Il collegamento lunare è rafforzato dalla perla che si credeva fosse figlia della conchiglia e del fulmine fecondante. Il mito fu ripreso dalla religione nel VII secolo d.C., Giovanni Damasceno scrisse che “il fulmine divino è penetrato dentro la conchiglia più pura, Maria, e ne è nata una perla oltremodo preziosa, il Cristo”.
La perla è un processo cosmico che fonde il confine fra mare e cielo. Nel Physiologus, uno dei primi bestiari del II secolo d.C.: l’ostrica emerge all’alba dal mare, “apre la bocca, assorbe la rugiada celeste, il raggio del sole, della luna, delle stelle e con la luce degli astri superiori produce la perla”.
La farmacopea medievale usava la perla come ingrediente per i filtri dell’immortalità.
In un’accezione esoterica, la conchiglia è simbolo di conoscenza superiore tanto che quelle a pettine,
furono definite dai filosofi “merelles de Compostelle”, dal greco Mèter e elê, madre della luce.
I temi della nascita e della rinascita collegano la conchiglia sia ai popoli occidentali che a quelli orientali: la Cypraea tigris, nota in Giappone come Koiasu-gai (conchiglia del parto facile) è ancora tenuta in mano dalle partorienti nell’arcipelago delle Ryukyu e la polvere di conchiglia era usata sui cadaveri.
Gli scavi archeologici restituiscono una tradizione che unisce il trapasso alla conchiglia e non solo nelle sepolture vicino la costa. La tradizione delle vie marencane, che collegavano i monti al mare, favorivano gli scambi commerciali e culturali in Liguria. I pastori usavano la buccina, una conchiglia (triton nodiferum) conosciuta fin dalla preistoria per comunicare o segnalare un pericolo. Dal Monte Bego al Beigua, cime opposte di un braccio della croce che ha il suo centro in un sito francese noto già ai romani per il culto delle acque, le incisioni rupestri tramandano simboli rituali legati ai percorsi della caccia e poi delle transumanze.
Le grotte come riparo dalle intemperie e ventre cosmico per la rinascita. Analizziamo qualche sito:
- – A Balzi Rossi, Ventimiglia (IM), databile alla fase finale della glaciazione di Würm, sono state trovate le 300 conchiglie forate utilizzate per una cuffia funeraria. Il corpo fu coperto con l’ocra rossa, rivolto verso occidente e aveva le gambe ripiegate. Nella grotta, sulla parete di fronte la tomba, è inciso un cavallo, animale psicopompo.
Il toponimo della spiaggia deriva dalla forma dialettale Bàussi Russi, “sassi rossi”, ma è conosciuta anche come “spiaggia delle uova”.
Nelle grotte della falesia furono ritrovate 15 statuine risalenti al Paleolitico chiamate le Veneri dei Balzi Rossi. Nella tripla e nella doppia sepoltura, vicino i corpi, erano disposte diverse conchiglie. - – L’Arma della Grà di Marmo, cavità naturale con deposizione funeraria a Realdo (IM), usata durante l’Eneolitico. L’ambiente è diviso in due nicchie di forma semicircolare. Lo scavo ha restituito una collana con le conchiglie di Dentalium. I reperti recuperati sono esposti al Museo Civico di Sanremo.
- – Dalla sepoltura ad Arma Veirana, grotta nel comune di Erli (SV), emerge la più antica neonata d’Europa disposta con la testa a occidente e i piedi a oriente. Battezzata “Neve” dagli archeologi, visse nel primo Mesolitico, aveva fra i 40 e i 50 giorni quando morì. Fu inumata avvolta in una sorta di marsupio decorato da conchiglie usate: durante la sua breve esistenza, la sessantina di conchiglie forate (Columbella rustica) e i quattro ciondoli ricavati da frammenti di bivalvi (Glycimeris glycimeris) non avrebbero potuto usurarsi così tanto. Questo testimonia che appartenevano ad altri membri del gruppo e furono ceduti alla neonata come gioielli di famiglia o talismani.
È utile fare riferimento a una tomba della prima metà del III secolo d.C. nella necropoli romana scoperta a Trieste. La defunta, di 3 o 4 anni, fu adagiata su un letto di conchiglie. Su una vulva di ostrica fu posato un uovo di gallina, un altro simbolo di vita e rigenerazione.
Le grotte liguri furono anche meta per gli ammalati: a Toirano, l’acqua di Santa Lucia curava i problemi agli occhi e nel Bauzo della Maddalena, a Taggia, chi entrava nello stretto anfratto con due uscite poteva guarire dal mal di pancia.
Secondo la leggenda, Taggia fu una tappa del viaggio verso la Provenza di Santa Maddalena. Ci sono ancora le impronte delle ginocchia della santa, nel punto in cui ella pregò. Dalla grotta inizia la festa della Maddalena che si celebra a luglio con il Ballo della Morte. La danza è ripetuta tre volte, mette in scena la morte e la resurrezione di Lena (Maddalena) grazie alla lavanda. Proprio nella coppa, che è uno dei simboli della santa, era contenuto l’olio di nardo (lavandula stoechaus o lavanda selvatica, per i greci) utilizzato per l’imbalsamazione. Sulle pareti dell’eremo di Santa Maria Maddalena del Bosco emergono alcune croci di Malta che potrebbero indicare una connessione con gli Ospitalieri Gerosolimitani.
In questo periodo di Quaresima, vorrei ricordare una tradizione che viene ancora tramandata a Bastia: il rituale notturno della Processione del Venerdì Santo, quando gli abitanti si nascondono negli anfratti delle vie per suonare le conchiglie come forma di scherno verso Gesù. L’usanza musicale era viva all’inizio del Novecento anche a Genova. Il paleontologo e malacologo Arturo Issel testimonia che durante la Settimana Santa le conchiglie erano suonate nella cattedrale di San Lorenzo.
With these notes Sibilla Pinocchio, storyteller and profound connoisseur of cults and popular stories, begins her collaboration with TRIBALEGLOBALE. Thanking her for availability, we are certain that her point of view will add considerable value to our reflections.
THE ECHO OF THE OSTRAKON, by Sibilla Pinocchio
The ostrakon was a piece of ceramic or broken stone, the word comes from the Greek and means shell. Let’s recover the fragments that in ancient Greece were used to stipulate a pact and from which the word symbol (put together) derives. Two people would break an identification card, often ceramic, and then keep their piece. By joining the parties it was possible to demonstrate that there was a promise to be fulfilled. Partial evidence emerges from the past and to grasp their message it is necessary to make hypotheses. Thanks to the archaeomythology conceived by Marija Gimbutas, the study of archeology makes use of mythology, folklore, symbols and religion.
The childish act of bringing the shell to the ear, to hear the sea better, is a gesture that helps us experience the relationship of primitive man with nature. The use of shells is lost in the mists of time and is an element handed down in Ligurian legends and rites linked to fertility. If a couple had difficulty reproducing, menstrual blood was collected in a shell and carried to its source in the woods. From the same source, after the gestation, the fairy would have fished the newborn. The children were not delivered by the stork, but carried by the fairy (ancient dialectal name given to midwives) who introduced them to the other children.
Some sections of the ancestral paths of fertility coincide with the Way of Santiago de Compostela, indicated by a valve of the scallop which in Spanish is called “concha” (translated it means both shell and vulva).
The route to reach Galicia served to atone for sins or to fulfill a vow. It is a pilgrimage of faith, just like the request of a sterile couple who aimed to purify themselves and propitiate the pregnancy. A legend tells that the sarcophagus of San Giacomo was found covered in shells. Jacobean tradition called for the scallop to be used as a container for drinking from fountains, rivers and streams. A natural marine cup that St. John used to baptize, the stoups themselves often have the shape of a shell. Before blessed water, shells were the cup for mercurial water with lustral powers.
Art, Greek and Roman myths associated the shell with female genital organs and with the birth of Venus. Connected to procreation, the shell has connections with water and life, just think of the breaking of the waters during childbirth. But the word “partum” has a double meaning: it also indicates the beginning of a journey and, in Rome, Venus became the protector of sailing travellers. For this, it was associated with the ultimate destination to the underworld. The shell became a funerary emblem, maintaining a prehistoric symbolism that was unknown at the time. As Carl Gustav Jung argued, the collective unconscious is a bridge for transgenerational knowledge, thanks to the archetypes transmitted in the DNA. For Plato, shells were “the deepest cosmic link” and “the only resonance on which the world is founded”. The divine proportion, or Golden Section, was codified in the Fibonacci Sequence and is also visible in the section of the spiral shells.
In a holistic vision of sympathetic magic, the shells of the molluscs that regulated the production cycles with the full moon could become propitiatory amulets of fertility. The lunar link is strengthened by the pearl which was believed to be the daughter of the shell and the fertilizing lightning. The myth was taken up by religion in the 7th century AD, John Damascene wrote that “the divine lightning penetrated the purest shell, Mary, and an extremely precious pearl was born, Christ”.
The pearl is a cosmic process that merges the boundary between sea and sky. In the Physiologus, one of the first bestiaries of the 2nd century AD: the oyster emerges from the sea at dawn, “opens its mouth, absorbs the celestial dew, the rays of the sun, the moon, the stars and with the light of the superior stars it produces the Pearl”.
The medieval pharmacopoeia used the pearl as an ingredient for potions of immortality. In an esoteric meaning, the shell is a symbol of superior knowledge so much that the comb ones,they were defined by the philosophers “merelles de Compostelle”, from the Greek Mèter and elê, mother of light.
The themes of birth and rebirth connect the conch to both Western and Eastern peoples: the Cypraea tigris, known in Japan as Koiasu-gai (easy birthing conch) is still held in the hands of pregnant women in the Ryukyu archipelago and the shell powder was used on corpses. The archaeological excavations return a tradition that unites the death to the shell and not only in burials near the coast. The tradition of the Via Marenca, which connected the mountains to the sea, favored commercial and cultural exchanges in Liguria. Shepherds used the buccina, a shell (triton nodoferum) known since prehistoric times to communicate or signal danger. From Monte Bego to Beigua, opposite peaks of an arm of the cross which has its center in a French site already known to the Romans for the cult of water, the petroglyphs hand down ritual symbols linked to hunting and then to transhumance.
Caves as a shelter from bad weather and a cosmic womb for rebirth. Let’s analyze some sites:
- At Balzi Rossi, Ventimiglia (IM), datable to the final phase of the Würm glaciation, 300 perforated shells used for a funerary cap were found. The body was covered with red ochre, faced west and had its legs folded. In the cave, on the wall opposite the tomb, a horse, a psychopomp animal, is engraved. The toponym of the beach derives from the dialectal form Bàussi Russi, “red stones”, but it is also known as “egg beach”. In the caves of the cliff, 15 statuettes dating back to the Paleolithic period called the Veneri dei Balzi Rossi were found. In the triple and double burials, several shells were arranged near the bodies.
- The Arma della Grà di Marmo, a natural cavity with funerary deposition in Realdo (IM), used during the Eneolithic. The environment is divided into two semicircular niches. The excavation yielded a necklace with Dentalium shells. The recovered finds are exhibited in the Civic Museum of Sanremo.
- From the burial in Arma Veirana, a cave in the municipality of Erli (SV), emerges the oldest newborn in Europe arranged with her head to the west and her feet to the east. Baptized “Snow” by archaeologists, she lived in the early Mesolithic, she was between 40 and 50 days old when she died. It was buried wrapped in a sort of pouch decorated with used shells: during its short existence, the sixty perforated shells (Columbella rustica) and the four pendants made from fragments of bivalves (Glycimeris glycimeris) could not have worn out so much. This testifies that they belonged to other members of the group and were given to the newborn as family jewels or talismans. It is useful to refer to a tomb from the first half of the 3rd century AD. in the Roman necropolis discovered in Trieste. The deceased, aged 3 or 4, was laid on a bed of shells. A hen’s egg was placed on an oyster’s vulva, another symbol of life and regeneration. The Ligurian caves were also a destination for the sick: in Toirano, the water of Santa Lucia cured eye problems and in the Bauzo della Maddalena, in Taggia, those who entered the narrow ravine with two exits could recover from stomach aches.
According to legend, Taggia was a stage on the journey to Provence of Santa Maddalena. There are still the footprints of the saint’s knees, where she prayed. From the cave begins the feast of the Maddalena which is celebrated in July with the Ballo della Morte. The dance is repeated three times, enacts the death and resurrection of Lena (Maddalena) thanks to the lavender. Just in the cup, which is one of the symbols of the saint, contained the nard oil (lavandula stoechaus or wild lavender, for the Greeks) used for embalming. On the walls of the hermitage of Santa Maria Maddalena del Bosco some Maltese crosses emerge which could indicate a connection with the Hospitallers of Jerusalem.
In this period of Lent, I would like to recall a tradition that is still handed down in Bastia: the nocturnal ritual of the Good Friday Procession, when the inhabitants hide in the nooks and crannies of the streets to play the shells as a form of mockery towards Jesus. The musical custom it was alive at the beginning of the twentieth century also in Genoa. The paleontologist and malacologist Arturo Issel testifies that during Holy Week the shells were played in the cathedral of San Lorenzo.